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26 gennaio 2007

Ebrei 5,7-9 Gesù, vero rappresentante della nostra umanità

                        Ebrei 5: 7-9
            Gesù, vero rappresentante
                 della nostra umanità

                           di Aldo Palladino

    Il testo biblico: “ Nei giorni della sua carne,con alte grida e con lacrime egli offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte ed è stato esaudito per la sua pietà. Benché fosse figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì; e, reso perfetto, divenne per tutti quelli che gli ubbidiscono, autore di salvezza eterna”.
                                                           oooOoooIl testo biblico che abbiamo appena letto mette in evidenza alcuni aspetti del ministero di Gesù. Infatti, il testo è un inno cristologico, tra i tanti presenti nel NT, avente fondamentalmente lo scopo di porre o riproporre Gesù come centro della confessione di fede cristiana.
Questa (ri)proposizione è resa necessaria perché l’autore di Ebrei “vede la chiesa esposta a un pericolo, al suo interno, a causa di un crescente raffreddamento della fede.
I lettori sono diventati apatici:
- non prestano più attenzione alla predicazione (2,1; 5,11);
- rischiano di rimanere indietro (4,1);
- trascurano le assemblee cultuali, la comune radunanza (10,25);
- prima sapevano resistere nella sofferenza e sopportavano le persecuzioni (10,32 ss.);
- ora stanno per perdere le forze”, stanno per cedere ad una influenza di matrice giudaizzante che li riporta sotto il giogo della legge (13,9-11).
“La causa del raffreddamento della fede va cercata per l’autore in un deficit teologico. I suoi lettori sono rimasti fermi a un livello di conoscenza insufficiente (5,11 ss.). Ciò di cui hanno bisogno è una migliore comprensione della salvezza e, quindi, del dono che è stato dato loro tramite Gesù”(*)
.
Testo e contesto immediato
Nel contesto immediato (4,14-5,1-10) l’autore di Ebrei esorta i suoi lettori a stare “fermi nella fede” (4,14) e a dimostrare che Gesù ha tutti i requisiti per essere dichiarato grande Sommo Sacerdote.
L’originalità di tale dimostrazione sta nel modo in cui viene presentato il ministero sacerdotale di Gesù.
Egli, infatti, viene descritto:
1) come colui che simpatizza con noi nelle nostre debolezze, “poiché è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato” (4,15), cioè rimanendo fedele a Dio nella sofferenza;
2) come colui che è superiore ai sacerdoti levitici costituiti nel passato;
3) come colui che è stato dichiarato sommo sacerdote da un’investitura diretta da parte di Dio con la citazione di due salmi: “Tu sei mio Figlio; oggi ti ho generato” (Salmo 2,7) e “Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec” (Salmo 110,4).

In particolare, Gesù è presentato come sommo sacerdote con le qualità:
a) di uomo sofferente che prega;
b) di Figlio obbediente nella sofferenza;
c) di colui che è autore di una salvezza eterna per tutti quelli che gli ubbidiscono.

L’autore di Ebrei, dunque, opera un collegamento di tipo teologico e pastorale tra i sacerdoti levitici e la persona di Gesù, ma lo fa evidenziando la superiorità del sacerdozio di Gesù con due elementi nuovi:
1) Gesù non è soltanto un mediatore, ma è fonte di salvezza;
2) il suo ministero è eterno; infatti, più in là dirà che Gesù ha offerto se stesso al posto di tori e capri e lo ha fatto “una volta per sempre” (9,12).

Uomo sofferente che prega
Come uomo sofferente che prega, il ricordo va, secondo alcuni, all’agonia di Gesù nel giardino del Getsemani (=frantoio per le olive) (Mc. 14,32-42), dove è “angosciato e spaventato” e dove invoca il Padre dicendo: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta” (Lc. 22,42).
Secondo altri, l’autore di Ebrei si sarebbe riferito alla preghiera di Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio, mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt. 27,46).
Gesù è presentato come uomo e, in quanto tale, soggetto alle debolezze umane, alla fragilità, alla tentazione. Di lui vengono esaltate la sua umiliazione e la sua umanità, il suo abbassamento, la sua kénosis cioè lo svuotamento del suo essere. L’inno cristologico più antico, quello di Filippesi 2,6-11, lo descrive in modo in modo mirabile: “…spogliò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce…”.

Figlio obbediente nella sofferenza
Lungo tutta la sua vita Gesù sa di essere il Figlio del Padre. E proprio perché si riconosce Figlio si sottomette, soffre e di fronte alla morte obbedisce al Padre, collabora col Padre al suo progetto (8).
Soltanto l’ubbidienza (la collaborazione) rivela la relazione che lega il Figlio al Padre.

Autore di una salvezza eterna
Poiché Gesù è stato reso perfetto, cioè consacrato al suo ministero di sacerdote e vittima che libera, redime e salva, può trasmettere salvezza a tutti coloro che gli ubbidiscono.
Ciò avviene in quanto come sacerdote e vittima compie la purificazione dei peccati e salva l’uomo dalla paura, dalla tentazione, dal peccato e dalla morte.
All’uomo rimane soltanto di credere in colui che Dio ha mandato (Gv. 6,29) e obbedirgli. “Infatti c’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo” (1 Tim. 2, 5).
Alla kénosis seguono la riabilitazione e la gloria (cfr. Filippesi 2,9-11) che procedono da Dio e che sono la logica conseguenza dell’ubbidienza di Cristo.

Quale nostro coinvolgimento in tutto questo?
L’autore di Ebrei intendeva operare un nuovo coinvolgimento dei suoi lettori nella vita cristiana. Voleva riportarli ad una ripresa di responsabilità e ad un rinnovato impegno. E questa operazione coinvolge anche noi, oggi. In che modo?
Ebrei 12, 2 ci dice: “…fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta”.
Una chiave di lettura delle nostre crisi attuali potrebbe essere quella di tornare a scoprire il valore umano e divino di Gesù.
Forse alla base del nostro disorientamento, del nostro scoraggiamento e del nostro disimpegno, c’è dimenticanza o mancanza di riconoscenza dell’opera della croce, del sacrificio di Gesù.
Abbiamo dimenticato o soltanto razionalizzato che Gesù ha preso il nostro posto sul legno della croce e ha portato i peccati di tutti noi, senza alcun coinvolgimento pratico.
Abbiamo forse dimenticato che in Cristo Gesù il regno di Dio è giunto fino a noi.
Egli è colui che realizza in se stesso l’uomo nuovo e un’umanità trasformata.
La sua morte sulla croce e la sua risurrezione ci danno la certezza che la via del cielo è stata inaugurata e che noi, in Cristo nostro precursore, vi abbiamo libero accesso.
Ora Egli ci pone sulla strada dell’ubbidienza nel servizio e ci chiama a uscire dalla nostra vita privata, chiusa in se stessa, per proiettarci all’esterno in un impegno e collaborazione nella comunità, ecclesiale e sociale, in qualunque progetto che concretizzi la speranza cristiana di realizzare anche parzialmente i segni del regno di Dio tra noi.

La nostra realtà, oggi
Ma la realtà nella quale viviamo sovente mette alla prova la nostra fede. Siamo anche noi risucchiati nel vortice di un mondo in delirio, che sempre più ci propone un modello di vita egoistico e individualistico, con la rincorsa vertiginosa al consumo sfrenato.
Assistiamo al successo di quegli arrampicatori che calpestano senza scrupoli gli altri pur di ottenere i loro scopi.
Siamo immersi in una cultura diffusa di sfruttamento, di illegalità, di ingiustizia, di guerra, di diritti civili negati a donne e bambini. E ancor più restiamo spettatori impotenti di quelle multinazionali che accumulano ingiustamente ricchezza in una piccola parte del mondo e depredano la restante parte lasciandola povera.
Siamo di fronte a nuovi sacerdoti e nuovi mediatori rappresentati dalle politiche e dagli interessi dei grandi poteri politici ed economici e da una cultura che vuole imporre con la forza la soluzione dei conflitti internazionali, perché incapace di dialogo e di attivare processi di aiuto e sviluppo reali a popoli e comunità in difficoltà.

Dinanzi a un tale quadro, è nostra responsabilità di credenti riacquisire l’umanità che il Cristo ha portato e annunciare la parola di giustizia pace, amore.
Come fratelli del Gesù uomo siamo chiamati a prendere la nostra croce, uscire dal silenzio della nostra tomba mortale e risorgere alla nuova vita in Cristo che ci coinvolge nel progetto di Dio per questa umanità.
Dobbiamo, dunque, abbandonare e denunciare tutti quei mediatori che finora, nella nostra vita, hanno preso il posto del Signore e rifiutare anche tutte quelle false novità presenti sul mercato delle illusioni, che danno false sicurezze ed effimere felicità.
Sulle orme di Gesù possiamo riprendere il nostro cammino di veri uomini e donne, seguendo il suo insegnamento e le sue prese di posizione, credendo con fede che la sua proposta di una nuova umanità passa attraverso la testimonianza del significato profondo della nuova vita in Cristo.
La nostra proposta è e deve rimanere la mediazione della croce del Cristo, il quale disse un giorno: “ Venite a me, voi tutti che siete travagliati e aggravati ed io vi darò riposo”.
D’altra parte, dobbiamo incoraggiare anche i non credenti a compiere il bene. Perché lo Spirito di Dio può agire su tutti, su uomini e donne di ogni popolo e nazione, affinché abbiano la forza di percorrere il cammino del servizio e avere accesso al nuovo albero della vita: la croce, dove la storia dell’uomo in Cristo Gesù trova la sua elevazione e la vittoria completa sul peccato e sulla morte.
Come cristiani, sappiamo dove si trova la fonte da cui emana ogni autentica sfida ed ogni efficace consolazione, ogni ricerca di giustizia e d’amore.
La responsabilità che ci spetta, dunque, è quella di testimoniare questa conoscenza. Nello stesso tempo, però, la credibilità di tale testimonianza è indissolubilmente legata alla fedeltà della nostra risposta.
In questo compito ci viene in soccorso lo Spirito Santo.

                                                           Aldo Palladino



(*) Gerhard Barth, "Il significato della morte di Gesù"; Ed. Claudiana, Torino, 1995.

24 gennaio 2007

Mc. 7,31-37 Gesù guarisce un sordomuto

Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gen 2007)


Parr. S.Maria Madre della Chiesa – Via don Gnocchi, 2 – Settimo Torinese (To)


Predicatore Aldo Palladino


Marco 7, 31-37 (vers. TILC)

31 Poi Gesù lasciò la regione di Tiro, passò per la città di Sidone e tornò ancora verso il lago di Galilea attraverso il territorio delle Dieci Città. 32 Gli portarono un uomo che era sordomuto e lo pregarono di porre le mani sopra di lui. 33 Allora Gesù lo prese da parte, lontano dalla folla, gli mise le dita negli orecchi, sputò e gli toccò la lingua con la saliva. 34 Poi alzò gli occhi al cielo, fece un sospiro e disse a quell'uomo: "Effatà!", che significa: "Apriti!". 35 Subito le sue orecchie si aprirono, la sua lingua si sciolse ed egli si mise a parlare molto bene. 36 Gesù ordinò di non dire nulla a nessuno, ma più comandava di tacere, più la gente ne parlava pubblicamente. 37 Tutti erano molto meravigliati e dicevano: "È straordinario! Fa sentire i sordi e fa parlare i muti!".


Come abbiamo appena letto, la folla, stupita dalla guarigione del sordo che parlava a stento (questa è l’esatta traduzione dal testo greco), esclama: “È straordinario! Fa sentire i sordi e fa parlare i muti!" (vers. TILC), che è il tema della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani di quest’anno.

Chi sono i sordi e i muti? In prima istanza sono quelli che Gesù incontrava per le strade, le campagne ed i villaggi che attraversava durante il suo ministero, ma non sono solo quelli. Ci sono anche i “sordomuti” del nostro tempo, che per scelta si defilano di fronte alla complessità delle situazioni della vita e preferiscono non sentire e non parlare per quieto vivere, per omertà, per non essere esposti a nessun rischio o per altri motivi di comodo.
Forse, tra questi "sordomuti" ci siamo anche noi.
Per questo il Vangelo è il messaggio di Gesù Cristo indirizzato a ciascuno di noi, a te e a me personalmente, a tutti noi come comunità ecclesiale e a tutti noi come membri di questa società.

La Parola per te e per me

Come ha fatto col sordo che parlava a stento, Gesù ci incontra nella nostra umanità. Conosce la nostra solitudine, le nostre angosce, le preoccupazioni e gli affanni della vita quotidiana per la salute, per il lavoro instabile e precario, per il futuro incerto nostro e dei nostri figli. Gesù viene a darci il conforto della sua presenza e della sua parola che guarisce, che consola, libera e salva. Ci mette in disparte, lontano dalle folle, dal rumore che ci assorda e in quell’incontro silenzioso ci rivolge il suo“Effata! Apriti!”.
Non è un semplice invito: è un comando che ci rivolge per vincere la nostra sordità, la nostra incapacità ad ascoltare il grido che da vicino o da lontano si leva da molte parti della terra, dove si muore per le guerre, di fame, di sete, di malattie come l’Aids, la malaria, la lebbra, e così via.

”Effatà! Apriti!” all’ascolto della sua Parola e rendila feconda in te, per la vita tua e dei tuoi cari, per la tua famiglia, che deve diventare la micra ekklesìa, la piccola chiesa domestica, primo e fondamentale luogo della nostra testimonianza di credenti.
Gesù ci chiama a vivere la nostra fede nella sua autenticità e a seguire le sue orme, con una vita umile e coerente. Dunque, vinci il tuo egoismo, vieni fuori dal tuo isolamento, non lasciare che le preoccupazioni di questa vita limitino il tuo spirito e ti paralizzino. Vivi con gioia la tua fede e sappi che Gesù è la Parola che si è fatta carne per essere Dio con noi, Dio per noi, Dio in noi. Egli è l’Amico vero che non ti tradirà mai, che ti sa comprendere, che ti è accanto in ogni momento. Gesù ti ama di un amore incommensurabile fino al punto che ha dato la sua vita per te sulla croce.

In questo tempo, Egli ci chiama a liberare la nostra bocca in un inno di riconoscenza, ad aprirla per proclamare le virtù di Colui che ci ha chiamati dalle tenebre alla sua meravigliosa luce (1 Pt. 2, 9) e che ci chiama a predicare l’Evangelo della grazia e a vivere questa parola predicata per renderla parola applicata.
L’apostolo Paolo disse: “Se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato” (Rom. 10, 9).

La Parola per le chiese

Ma il comando di Gesù: “Effata! Apriti!”, è rivolto anche a noi come chiesa locale e a noi tutti come chiese cristiane delle varie confessioni da anni in cammino per la ricerca di una unità visibile. Noi sappiamo che la nostra unità spirituale esiste già fra noi, perché l’apostolo Paolo scriveva: “Sforzatevi di conservare l’unità dello Spirito con il vincolo della pace. Vi è un corpo solo e un solo Spirito, come pure siete stati chiamati ad una sola speranza, quella della vostra vocazione. V’è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, fra tutti e in tutti” (Ef. 4, 3-6). Ed è da questi fondamenti, da questo patrimonio di fede che realizza la nostra comunione, che possiamo ripartire per accogliere quell’”Effata! Apriti” di Gesù come atto di guarigione che ci libera dalla diffidenza reciproca, dai pregiudizi, dalla paura dell’altro, e che ci mette in comunicazione, in ascolto, in dialogo, per vincere le forze diaboliche che creano disunione e separazione.
Nel Vangelo di Giovanni è scritto: “Da questo conosceranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Gv. 13, 35).
E Paolo scrive: “Perciò, accoglietevi gli uni gli altri, come anche Cristo vi ha accolti per la gloria di Dio” (Rom. 15:7).

La Parola per noi come membri della società

Ma “Effatà! Apriti!” è una parola rivolta anche a noi come membri di questa società, cittadini di questo Stato. E in questo ambito, la nostra responsabilità di credenti non è minore di quella che abbiamo nella nostra chiesa locale. “Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo. (Mt. 5, 13-14) disse Gesù, disegnando la nostra identità di inviati con la missione di trasmettere – laddove ci troviamo – i valori cristiani attraverso le nostre scelte. La nostra voce per la sofferenza dei poveri, per i deboli e gli indifesi, per i diseredati, per i malati, per tutti coloro che non hanno voce, deve essere levata chiara e forte, perché se non facciamo questo diventiamo sale insipido che “non è più buono a nulla se non ad essere gettato via e calpestato dagli uomini”. Il compito missionario che ci è stato affidato è di aprirci all’ascolto dei bisognosi e di andare incontro alle loro necessità con la nostra solidarietà, con il nostro aiuto, con il nostro conforto, con il nostro impegno, e con l’annuncio dell’amore di Dio manifestato nella persona del Signore e Salvatore Gesù Cristo.

Il Signore ci guarisce dal nostro sordomutismo e ci fa dono di quella Parola che dà speranza ai disperati, coraggio a chi vive nella paura, dignità a chi, uomo o donna, venga respinto per il colore della pelle o per motivi socioculturali. Siamo stati resi ambasciatori di quella parola vivente ed efficace, che non potrà mai essere ridotta al silenzio.

Dunque, care sorelle e cari fratelli. Questa è la nostra comune vocazione che vogliamo riaffermare in questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

Voglia il Signore benedirci tutti insieme in questo cammino!

Aldo Palladino




07 gennaio 2007

Lc. 24,13-35 La vita della chiesa. Messaggio introduttivo per l'anno 2007

Luca 24,13-35
LA VITA DELLA CHIESA
di Aldo Palladino
Luca 24, 13-3513 Due di loro se ne andavano in quello stesso giorno a un villaggio di nome Emmaus, distante da Gerusalemme sessanta stadi [circa 12 chilometri]; 14 e parlavano tra di loro di tutte le cose che erano accadute. 15 Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù stesso si avvicinò e cominciò a camminare con loro. 16 Ma i loro occhi erano impediti a tal punto che non lo riconoscevano. 17 Egli domandò loro: «Di che discorrete fra di voi lungo il cammino?». Ed essi si fermarono tutti tristi. 18 Uno dei due, che si chiamava Cleopa, gli rispose: «Tu solo, tra i forestieri, stando in Gerusalemme, non hai saputo le cose che vi sono accadute in questi giorni?» 19 Egli disse loro: «Quali?» Essi gli risposero: «Il fatto di Gesù Nazareno, che era un profeta potente in opere e in parole davanti a Dio e a tutto il popolo; 20 come i capi dei sacerdoti e i nostri magistrati lo hanno fatto condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21 Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele; invece, con tutto ciò, ecco il terzo giorno da quando sono accadute queste cose. 22 È vero che certe donne tra di noi ci hanno fatto stupire; andate la mattina di buon'ora al sepolcro, 23 non hanno trovato il suo corpo, e sono ritornate dicendo di aver avuto anche una visione di angeli, i quali dicono che egli è vivo. 24 Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato tutto come avevano detto le donne; ma lui non lo hanno visto». 25 Allora Gesù disse loro: «O insensati e lenti di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno dette! 26 Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?» 27 E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano. 28 Quando si furono avvicinati al villaggio dove andavano, egli fece come se volesse proseguire. 29 Essi lo trattennero, dicendo: «Rimani con noi, perché si fa sera e il giorno sta per finire». Ed egli entrò per rimanere con loro. 30 Quando fu a tavola con loro prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede loro. 31 Allora i loro occhi furono aperti e lo riconobbero; ma egli scomparve alla loro vista. 32 Ed essi dissero l'uno all'altro: «Non sentivamo forse ardere il cuore dentro di noi mentr'egli ci parlava per la via e ci spiegava le Scritture?» 33 E, alzatisi in quello stesso momento, tornarono a Gerusalemme e trovarono riuniti gli undici e quelli che erano con loro, 34 i quali dicevano: «Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone». 35 Essi pure raccontarono le cose avvenute loro per la via, e come era stato da loro riconosciuto nello spezzare il pane.

Non so come voi vivete l’inizio del nuovo anno. Da parte mia, avverto il passaggio da un anno all’altro sempre con grande emozione, non solo per il fatto che sono di un anno più vecchio, ma anche e soprattutto perché Dio mi concede e ci concede nella sua bontà, nella sua grazia, un nuovo tempo di vita, di lavoro, al suo servizio.
E questa prima domenica dell’anno 2007 può essere per ciascuno di noi, individualmente, e per tutti noi, collettivamente, l’occasione per un momento di riflessione, di chiarificazione, di dialogo, per interrogarci sul senso del nostro essere chiesa.

Gesù è qui tra noi


I due discepoli di Emmaus, di cui abbiamo letto nel testo di Luca, riferivano a Gesù dei fatti accaduti come di fatti del passato, sia pure di un recentissimo passato, e non riconobbero Gesù “perché i loro occhi erano impediti” (Lc. 24,16). Però, lo riconobbero in seguito quando, seduti a tavola nell’ostello dove si erano rifugiati, Gesù ruppe il pane della comunione. Fu allora che “i loro occhi furono aperti e lo riconobbero” (Lc 24, 31). In quel momento, Gesù non era più per loro un personaggio archiviato negli annali di storia, ma era il Gesù risorto, vivente e presente, Signore della vita, il vincitore della morte.
L’esperienza dei due discepoli di Emmaus ci porta a riflettere che vi è sempre il pericolo di credere che Gesù sia un fatto del passato, relegato nella storia di 2000 anni fa, e che non sia più presente tra noi.
E dobbiamo fare attenzione che anche la Cena del Signore non sia ridotta ad un semplice memoriale di cose del passato. Essa è memoria, sì, del cammino del Signore Gesù sino alla morte della croce, ma è anche annuncio della sua vita di risurrezione e della sua presenza spirituale in mezzo a noi. Infatti Gesù disse: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dell’età presente” (Mt. 28,20).
Dunque, Gesù vive tra noi, con noi e per noi, per te e me, per questa chiesa come per tutte le chiese cristiane, ed opera per la salvezza dell’intera umanità. E la realtà della sua presenza tra noi, in questa chiesa locale non è un fatto da poco, perché è alla sua presenza che la nostra sensibilità si accentua, che le nostre reazioni cambiano. La sua presenza, inoltre, ci obbliga ad operare delle scelte, a prendere delle decisioni.
Tre decisioni da prendere alla Sua presenza
La prima decisione è di riaffermare tra noi e tutti insieme davanti al Signore il patto, l’impegno di seguirLo con fedeltà nel suo cammino, di essere suoi servitori e suoi imitatori con vera umiltà.
Tu sei chiamato a rinnovare questo patto d’amore e di servizio.
Questa tua decisione, che puoi soltanto prendere con l’aiuto dello Spirito Santo, è una delle basi del funzionamento della chiesa.
Questa comunità è e sarà comunità cristiana evangelica nella misura in cui Gesù è accolto, amato e ubbidito e il suo evangelo predicato per annunciare salvezza e pace agli uomini e alle donne che egli gradisce (Lc. 2, 14).
“La cristianità è piena di gente che ammira Cristo, ma non lo imita, cioè non lo segue. L’esempio classico di uno che ammirava Gesù senza trovare il coraggio di seguirlo è Nicodemo. Imitazione significa sequela. Gesù non ha mai detto: “Imitatemi”, ha sempre solo detto “Seguitemi” (Paolo Ricca, Un giorno una parola 2007, Editrice Claudiana, Torino).
Dunque, cara sorella, caro fratello, deciditi ad imitare il Cristo! Non aspettare a dare tutta la tua vita per lui! Da’ un senso e una precisa direzione alla tua esistenza, convertiti realmente al Signore, tu e la tua famiglia! Rifuggi dal tradizionalismo religioso, che non salva, e fa’ tua l’esperienza di un incontro vero e profondo con Gesù Cristo!

La seconda decisione è fondata su un altro impegno che dobbiamo assumere gli uni gli altri, le une con le altre: l’impegno di stabilire tra noi delle relazioni di sincero amore fondate su tre punti:
1) accoglierci come siamo (Rom. 15, 7); accogliere colui o colei che è debole nella fede (Rom. 14, 1), perché siffatte persone hanno un loro percorso da fare alla scuola del Signore. E noi possiamo soltanto seminare nel loro cuore la parola di Dio, perché se la parola di Dio non agisce in profondità nella vita delle persone non saremo certamente noi a farle cambiare. Infatti Paolo così esortava Timoteo:” Predica la parola, insisti in ogni occasione, favorevole e sfavorevole, convinci, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e con pazienza” (2 Tim. 4, 2).
“Smettiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; decidetevi piuttosto a non porre inciampo sulla via del fratello (o della sorella), né a essere per lui un’occasione di caduta” (Rom. 14,13).
2) Avere fiducia gli uni degli altri. Ciò significa non avere paura del fratello o della sorella; significa agire sempre con vera lealtà, rimuovendo pregiudizi, evitando di sparlare e di infuocare gli animi. Paolo diceva ai Romani:” Cerchiamo di contribuire alla pace e alla reciproca edificazione” (Rom. 14,19).
3) Rispettare le autorità costituite nella chiesa, perché è scritto:” Ubbidite ai vostri conduttori e sottomettetevi a loro, perché essi vegliano per la vostra vita come chi deve renderne conto, affinché facciano questo con gioia e non sospirando; perché ciò non vi sarebbe di alcuna utilità” (Eb. 13, 17).

La terza decisione è di impegnarci nel lavoro di crescita della chiesa attraverso lo studio personale, attraverso le linee guida che verranno tracciate dagli Anziani (Pastori) per andare incontro ai bisogni spirituali della comunità, di testimoniare la nostra fede agli altri e di evangelizzare coloro che vengono messi sulla nostra strada senza vergognarci dell’Evangelo.

Il Signore, dunque, ci introduce in quest’altro anno della sua grazia e ci rinnova la sua chiamata a seguirlo e a servirlo. Sta a noi rispondere, con le parole del piccolo Samuele: ”Parla, o Signore, perché il tuo servo ascolta” (1 Sam. 3, 9).


7 gennaio 2007 Aldo Palladino